La killer app per vendere i giornali? La credibilità, lo dice Google (e lo confermano i dati)

Se i risultati economici dell’ultimo trimestre di Google vedono il fatturato crescere (+15%) ma fanno anche storcere il naso con quel 13esimo trimestre di seguito in cui il costo del click è in calo, nel mercato della credibilità la concorrenza ha invece sbaragliato tutti. Come si vede dal grafico qua sotto, presentato a Davos e proveniente dal Trust Barometer che ogni anno realizza una società di pr, Edelman, su un campione di 33mila persone in una ventina di paesi, e che monitora la fiducia in media, istituzioni, Ong,…. Negli ultimi anni questo barometro ha registrato la costante erosione nella fiducia nei media tradizionali, lo sappiamo, ma quest’anno i motori di ricerca fanno segnare il sorpasso  (64% contro 62%). E nel caso dei millenials la battaglia della carta si fa ancora più dura (72% contro 64%).

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In realtà, obiettano alcuni, questo grafico rischia di paragonare mele e pere dato che i motori di ricerca non producono informazione ma semmai la organizzano. Ma Google, si può rispondere, è un aggregatore, come l’Internazionale e Dagospia, solo infinitamente più sofisticato.

È inoltre da notare la crescente fiducia negli Owned media, vale a dire i siti aziendali trasformati in giornali, anche in base a quanto l’algoritmo di Google  permette di fare ora in questo campo (ne abbiamo scritto qui). In pratica che a fare informazione siano direttamente le aziende, in maniera aperta e dichiarata, per i lettori non intacca la credibilità della fonte.

 Una seconda slide riguarda soprattutto il mondo dell’informazione economica, qui per il web non c’è partita. Si nota come in questo settore quando c’è un grande notizia, una breaking news,  televisione e web si fondono del tutto (il riquadro di centro) mentre per il resto la Rete è chiaramente dominante, sia come prima fonte di informazione (il riquadro di sinistra) sia come fonte di validazione delle notizie.

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Frédéric Filloux, uno dei due autori di Monday Note, uno dei migliori blog di analisi dei media, scrive che  dopo questi grafici è chiaro perché nei giorni degli attacchi di Parigi molti editori si siano trovati con oltre il 50% del traffico proveniente da Google. Un dato preoccupante per molti di loro, già in lotta col gigante californiano. Ma che è preoccupante anche per Larry Page «Non c’è bisogno di spiegare quanto questo metta pressione su Google (molto meno invece su Facebook che non è altrettanto preoccupato del suo ruolo come distributore di informazioni)», scrive Filloux. Ecco anche spiegato perché l’azienda di Mountain View punti così tanto alla diffusione del suo Trust Project, una serie di linee guida che i giornali dovrebbero adottare per aumentare la loro credibilità. Volendo organizzare tutto il sapere del mondo (questa la mission dichiarata), Google reclama un potere che diventa sempre più normativo. Non perché sia “buono”, come ha spesso ambiguamente preteso di essere, ma perché ha bisogno che il suo utente trovi davvero ciò che cerchi e in tempi brevi, altrimenti  rischia di perdere quote di mercato. E poi in fondo è propio Google che ci ha abituati all’idea che ogni domanda abbia una risposta.

Il fine di queste norme è ben sintetizzato da Filloux:

Google’s idea to implement all of the above is to create a set of standardized “signals” that will yield objective ways to extract quality stuff from the vast background noise on the Web. Not an easy task.

Le linee guida del Trust Project non sono editoriali, né di attività Seo: non dicono come meglio scrivere un articolo o quali accorgimenti usare per indicizzare meglio i contenuti (come ad esempio scrivere “Ministero dell’Economia” e non “Via Venti settembre”). Anche se l’esito vuole proprio essere questo ultimo, creare dei segnalatori di qualità che permettano di giudicare il valore in maniera appropriata per dargli maggiore rilevanza. I punti individuati da Google sono 5 e vanno da un codice etico per ogni testata, a una maggiore trasparenza sulle competenze degli autori, sulle correzioni e sulle revisioni dei pezzi (se volete leggerne una sintesi cliccate qua, se invece li volete leggere per intero cliccate qua). Per capirne l’importanza pensare che una delle funzioni base di Google si chiama proprio TrustRank definito come «l’insieme di calcoli che permettono di valutare la fiducia riposta nella persona X dai suoi amici, dai suoi conoscenti, e dalle cerchie sempre più lontane di contatti – fino agli sconosciuti che possono essere coinvolti solo dalla rilevanza effettiva dei contributi pubblicati». L’ha definizione è di Paolo Bottazzini e se volete capire come funzionano TrustRank, Knowledge Graph e gli altri modi con cui vengono organizzate le informazioni cliccate qua.

Insomma, questa attenzione alla credibilità e alla fiducia è nella natura delle cose sin dagli inizi. Anche chi scrive, nel suo piccolo, sei anni lavorò a un paper per la Fondazione Ahref per definire degli standard per l’informazione per il giornalismo della Rete. In questo caso si trattava di standard editoriali desunti dai manuali interni di varie testate (Nbc, Reuters, Newsweek, Bloomberg,…) ma la definizione di standard di qualità si rendeva già chiara perché con l’aumentare del rumore creato dalla crescente quantità di contenuti, la difficoltà a scremarli per qualità si fa esponenzialmente sempre più alta, oltre che sempre più politicamente ed economicamente rilevante.

E quanto con l’avvento della Rete e dei social sia centrale la credibilità nella definizione della qualità non lo si capisce solo studiando l’algoritmo organizzatore o leggendo il Trust Project, ma lo si può desumere anche da un’altra slide del Trust Barometer. Quella che mostra la fiducia nei media nel mondo. I paesi più interessanti in questo caso sono India e Brasile. Come capita ormai da anni nella prima la fiducia nei media cresce, nel secondo cala. Mentre in India, dove c’è un sistema di media lasciato in parte dagli inglesi, la gente che diventava più ricca consumava più giornali , questo nel Brasile del giornalismo latino, più connotato da una estrema vicinanza al potere e da una minore credibilità,  non accadeva.  Anzi, come ha raccontato l’Economist , in Brasile la crescita economica ha spinto verso un maggiore uso dei media online e dei social. La Folha de São Paulo, il maggiore giornale brasiliano, nel 2013 ha licenziato 24 giornalisti, il 6% del totale. Certo la credibilità è uno degli aspetti  (in India i giornali hanno costi bassissimi) ma il fatto che una maggiore ricchezza non abbia spinto i brasiliani a consumare più carta è certamente indicativo. In un sistema più credibile, come quello indiano, beneficiano tutti della crescita economica, in uno dove invece prevale lo scetticismo verso i media, come in Brasile, chi guadagna è solo l’online.  

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D’altra parte in tutto il mondo i  quality newspaper  (li chiamano così gli inglesi per distinguerli dai tabloid) stanno lottando in un ambiente ostile mentre cercano di capire cosa significhi qualità

“We’re in the middle of a storm,” says Jayme Sirotsky, a former president of the World Association of Newspapers. “Everyone is trying to produce quality news content and still stay profitable in a hostile environment.”

Da quanto visto appare allora chiaro che chi, per dinamiche proprietarie e per professionalità, sarà nella posizione di poter davvero includere nel concetto di qualità quello di credibilità, avrà già fatto un gran bel pezzo di strada.

Scritto da Jacopo Barigazzi

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